Suor Eleonora Vittoria è originaria di Altivole (TV), ha 28 anni e da quattro anni vive nella comunità monastica benedettina di Sant’Anna in Bastia Umbra; ha professato i voti semplici il 14 settembre 2022. Si è laureata in psicologia dell’educazione nel 2015 e in psicologia clinica e di comunità nel 2018 presso l’Università Pontificia Salesiana di Venezia. Sta continuando gli studi di specializzazione in psicoterapia presso l’Istituto di Psicoterapia Psicodinamica di Firenze. In comunità, oltre i lavori della vita quotidiana, ha come ufficio l’accoglienza e l’ospitalità presso la foresteria del monastero.
Suor Eleonora, puoi dirci qualcosa del tuo sentire e vivere la missione nella tua vita benedettina?
Di fronte alla richiesta fattami di parlare di missione nella vita benedettina, che ho abbracciato da quattro anni nella particolare comunità di sant’Anna in Bastia Umbra (Perugia), non posso che pensare a come è cambiata la mia idea di missione nel corso degli anni e ancor di più ora che sono in monastero. Credo che il desiderio di missione abbia a che fare con il profondo e creaturale impulso di relazione che abita l’uomo e che lo porta a uscire da sé stesso e a ricercare fuori di sé contatto, diversità, novità.
C’è un’idea classica e condivisa di missione, che implica l’andare in un paese straniero, generalmente povero, per portare il proprio aiuto, fisico, materiale, psicologico e spirituale. Ed è il modo con il quale anche io nel 2017 sono andata in missione in Giordania, tramite la Caritas di Treviso, prendendo parte ad un progetto di aiuto per i profughi siriani rifugiati nel piccolo paese di Al-Mafraq, a 15km dal confine con la Siria (quando la guerra in quelle terre era all’attenzione di tutti, e quei 15 km non bastavano a nascondere il rumore delle bombe). Credo sia stata questa prima esperienza missionaria in terra straniera a farmi scoprire una nuova idea di missione, seppur non consapevole al momento, e che ho potuto rivedere in questi quattro anni di vita monastica.
Cos’è per te la missione, alla quale tutti siamo chiamati per il nostro battesimo?
Penso che la missione, prima di essere un’uscita verso ciò che è fuori, lontano, distante, diverso, sia un viaggio all’interno di noi stessi: missione è scegliere ogni giorno di abitare la nostra terra, la nostra carne, ciò che consapevolmente e inconsapevolmente viviamo e proviamo nel corpo, nella mente, nello spirito e che, troppo spesso, è non solo sconosciuto, ma anche rifiutato, alienato, svalutato, disprezzato. Diventa quindi possibile la missione fuori di noi, l’aiuto verso il prossimo, vicino o lontano, nella misura in cui impariamo a conoscere e amare noi stessi, con tutti i doni e i limiti del nostro essere creature. E credo che questa possa essere una chiave attraverso cui si può parlare di missione nella vita monastica, luogo che forse a prima vista sembrerebbe il più distante da una qualsiasi forma e possibilità di missione. Il monastero diventa la cellula dentro la quale il monaco, grazie all’ascolto delle Sacre Scritture, allo studio, alla vita fraterna, al lavoro manuale, diventa testimonianza viva e incarnata del Cristo Risorto, colui che «vi precede in Galilea» (Mt 28,7), colui che ha aperto la strada dell’annuncio a tutte le genti. Non a caso Santa Teresa di Lisieux è stata nominata patrona delle missioni pur avendo vissuto tutta la sua vita all’interno del monastero: ecco che questa scelta di vita, vivere dentro, diventa nella realtà dell’esperienza quotidiana vivere dentro di sé, per imparare a vivere da risorti, per scoprire quanto ci abita che prima non si conosceva e che ci cambia, e cambia progressivamente quanto è fuori.
Per la vocazione alla quale Dio ti ha chiamata, quale è il tuo sogno di missione?
Penso che in parte la missione del monaco oggi consista nello scoprire quanto siamo in potenza e in potenzialità e farlo venire fuori, renderlo dono per quanti si incontrano nel cammino, per quanti bussano alla porta del monastero, per essere ascoltati, per ricevere un pasto caldo, per pregare o per vivere una quotidianità condivisa. Ed è questo poi anche quello che penso caratterizzi di più la vita del monastero di sant’Anna nel suo essere missione, accogliendo «chiunque tu sia» (Regola di San Benedetto, Prologo) e dando la possibilità a ciascuno di condividere un pezzo di vita mettendo a disposizione il nostro tempo, di preghiera, di lavoro, di ascolto, di convivialità.
A cura di Flavio Facchin omi