Emilio Capecci e Stefania Caroselli vivono a Morena (Roma). Si sono sposati nel 1990 e hanno due figli, Francesca e Matteo. Emilio lavora presso una società di telecomunicazioni, mentre Stefania è insegnante in un liceo. Da sempre sono impegnati nel mondo degli Scout, del volontariato e della loro parrocchia. Entrambi portano una passione particolare per la missione…
Emilio e Stefania, raccontateci qualcosa di voi. Chi siete? Cosa fate?
Eccoci a Voi. Proviamo a raccontarci in semplicità, perché la nostra vita è semplice… o meglio, è una vita complicata come tutte le vite di ognuno ma è vissuta nella semplicità e, ove possibile e per quanto possibile, nella condivisione. «Condivisione» è la parola chiave della nostra vita e parola chiave nel vivere la nostra vita sponsale… terra di missione. Ci chiamiamo Stefania ed Emilio e siamo sposati dal 16 settembre 1990. Peraltro, questa data ci accomuna nei festeggiamenti ad alcuni amici e religiosi del «circuito OMI» per i quali questa è una data importante e quindi condividiamo anche la data! Stefania è un’insegnante di religione in un liceo di Grottaferrata mentre io, Emilio, sono impiegato in una società di Telecomunicazioni. Con Stefania condividiamo un passato nell’associazionismo cattolico e nel volontariato e questo ci ha formati e dato un’impronta alla nostra vita. L’avere Religiosi e religiosi missionari nelle rispettive famiglie ha contribuito a rafforzare i contatti col mondo religioso col quale e nel quale, in fondo, siamo cresciuti.
E quando sono arrivati Francesca e Matteo, cos’è successo nella la vostra «terra di missione»?
La nascita dei figli ed il dedicarsi alla loro formazione/educazione ha condizionato inevitabilmente la possibilità di proseguire stabilmente nel Servizio al Volontariato ma, come coppia abbiamo sempre cercato occasioni e possibilità di collaborare ove fosse possibile cercando di poter essere utili: in parrocchia, con i Frati Francescani, nella Caritas e recentemente ci siamo impegnati nella fondazione di una ONLUS: «PolePole» che sostiene progetti missionari ed educativi in Tanzania (Pole Pole: cioè «Piano Piano», perché l’Africa ha i suoi tempi, diversi dai nostri), infine sostenendo i nostri genitori anziani secondo le nostre possibilità, capacità e disponibilità.
Abbiamo investito molte energie nell’educazione dei nostri figli (e oggi con i nostri genitori anziani) e l’impossibilità di fare Servizio ci è pesata un po’… poi abbiamo realizzato che stavamo compiendo il primo servizio, la nostra prima missione, e cioè quello di preparare alla vita i nostri due figli Francesca (31 anni) e Matteo (30 anni). Perché a volte, diciamocelo chiaramente, il servizio «fuori dalle mura domestiche» è molto gratificante e a chi è «drogato del Volontariato» quel «grazie», quel sorriso dell’amico in carrozzina dopo un servizio pesante è «benzina nei nostri motori» e anzi spesso solo indossare la divisa di questa o quella associazione ed iniziare a fare qualcosa è già avere indietro un tesoro prezioso. In casa e nelle mura, a volte quello che fai, sembra scontato, dovuto non ti dà «lustro» né «visibilità» ma quello è il tuo posto, questa è la tua prima Missione, e lì sta la tua chiamata e quando capisci questo le cose cambiano e vivi con gioia questa nuova missione.
Emilio e Stefania, ci state dicendo che la famiglia è una «terra di missione» e voi, ovviamente, siete i «missionari» in questa terra di missione.
Di certo, anche per carenza di forze riteniamo che nelle nostre diocesi abbondino catechesi generiche, spesso notturne e ad orari inconciliabili con le vite famigliari e pur ringraziando il buon Dio di queste occasioni, riteniamo manchino occasioni nelle quali far incontrare le famiglie e sostenerle in questi momenti in cui «l’isolamento», come durante il COVID, diventano pesanti. Alleggerire i «fardelli», creare una rete di condivisione delle esperienze comuni potrebbe giovare alla mente e allo spirito. Una Chiesa attenta alle famiglie e ai loro bisogni, una Chiesa capace di aggregarle potrebbe essere una strada per ricominciare a far riempire le parrocchie offrendo un «porto sicuro» ad altri bisognosi in una nuova terra di Missione. Ci è stata chiesta una testimonianza, potremmo raccontare molto di più, ma credo che, anche se con l’imbarazzo che questa cosa ci provoca nel parlare di noi stessi che non amiamo i riflettori, perché ci hanno insegnato che «bisogna dare con la mano sinistra senza che la mano destra lo sappia», questo sia il messaggio più importante che esce dalla nostra esperienza di vita, di fede e di coppia.
Emilio, se posso, la vita non è stata semplice per te…
La vita ci ha provato molto nella malattia, perché «la pioggia e i temporali arrivano», ma le fondamenta salde in Dio tengono «in piedi la nostra casa» anche se da noi, come dico spesso, «sono arrivate copiose e anche molto importanti». Qui si apre il capitolo della sofferenza e qui parlo a titolo personale come Emilio. La sofferenza, la malattia, specie se gravi, ma vissute nella fede, nella fiducia e nell’abbandono a Dio possono diventare, seppur nella difficoltà, Terra di Missione, esperienze meravigliose di condivisione, di incontro e di servizio. Bisogna lottare sempre camminando facendo un passo alla volta e vivendo un giorno alla volta e, come diceva qualcuno più saggio di me, concentrandosi sul momento presente perché il passato è passato e spesso terreno di rimpianti mentre il futuro è domani e a volte anche domani può risultare lontano. Concentrarsi troppo su ieri o su domani tolgono energia e spazio al momento presente che va comunque assaporato leggendo con gli occhi di Dio. «Bisogna vivere con i piedi ben piantati in terra ma lo sguardo rivolto verso il cielo»: questa è la frase che custodisco e che consegniamo a voi. Noi continueremo a collaborare ove e per quanto possibile. Non abbiamo grandi sogni ma sentiamo grandi responsabilità che cerchiamo di onorare secondo le nostre possibilità… anche fisiche. Grazie.