Vite che parlano: Benoît Diouf

Fratel Benoît, Missionario Oblato di Maria Immacolata dal 2004, è di Loul Sessene (Senegal) e la sua famiglia è composta da dieci fratelli e sorelle. Infermiere di Stato dal 2012, è responsabile del Centro Sanitario della Missione Cattolica di Farim in Guinea Bissau.

Fratel Benoît, ci racconti come sei diventato Missionario Oblato?

Sono originario della parrocchia di Djilas, che dista circa 140 km da Dakar. Per molti anni in questa missione hanno operato gli Oblati. Sono stato battezzato da piccolo e quand’ero bambino e poi ragazzo partecipavo alla vita della comunità parrocchiale nel settore di Loul Sessene: qui ho scoperto e fatta mia la vita cristiana. All’origine della mia vocazione c’è un Oblato, fratel Donato Cianciullo. Non sapevo fosse un fratello consacrato a Dio e io non conoscevo ancora la ditinzione tra fratello e sacerdote. Mi colpiva il fatto che fratel Donato lavorava con la gente e «si sporcava le mani» per costruire chiese o scavare pozzi nei villaggi. Era un uomo molto vicino alla gente e amava lavorare con la gente. Fratel Donato è stato per me un grande esempio e mi ha fatto nascere il desiderio di diventare io stesso un missionario, un messaggero di Dio che opera con la gente e per la gente. Nel 1995 ho cominciato a frequentare il «gruppo vocazioni» e ho poi seguito il percorso di formazione per consacrarmi a Dio ed essere un «fratello consacrato».

Fratel Benoît, come vivi il tuo essere missionario di Maria Immacolata?

Negli anni di formazione è stato per me importante capire che ogni battezzato è chiamato da Dio e inviato da Dio per una sua missione particolare, lì dove Dio lo ha chiamato a vivere. Portavo e porta tutt’ora nel cuore questa frase: «Noi dobbiamo portare la speranza che abita in noi». Attraverso la mia vita, ciò che sono e ciò che faccio quotidianamente, vorrei donare questa stessa speranza che è la vita di Dio in me. Da qualche anno vivo come missionario a Farim, in Guinea Bissau, e annuncio «la Speranza che abita in noi» con la testimonianza della mia vita. Non posso proclamare «Gesù» con le parole perché la maggior parte della gente qui à musulmana, ma con la testimonianza dell’amore in ciò che faccio e con l’attenzione a ogni persona il Vangelo parla attraverso di me.

Sei infermiere di Stato, dove operi e in cosa consiste il tuo lavoro?

Dal 2012 sono responsabile della Pastorale della Salute nel vasto territorio della parrocchia di Farim, in Guinea Bissau. Nel corso degli anni e grazie a tanti amici è stata costruita «Casa Emanuele» (nel 2006-2007), un centro ospedaliero composto da diverse realtà. Fino al 2014 tutte le attività si svolgevano a «Casa Emanuele» che oggi si è ampliata con altri edifici. Nel padiglione «Borboleta» siamo in tre persone (due infermieri e un’assistente) ad occuparci delle consultazioni mediche e operiamo come un Pronto Soccorso. In quello chiamato «Papagaio» c’è una persona che si occupa della farmacia. Nel passato, dopo la consultazione, i pazienti venivano alla casa della missione e chiedevano ai nostri missionari di comprare i medicinali prescritti; ora, invece, sono disponibili nella nostra farmacia e a prezzi abbordabili. Inoltre, da qualche anno in questo edificio abbiamo «l’unità di trasformazione di cereali» secondo il programma «Bamisa» (vedere: www.bamisa.org). Quattro persone vi lavorano per trasformare miglio o mais, soia,  arachidi, zucchero e sale iodato in pappe per i bambini per lottare contro la malnutrizione. Colgo l’occasione per dire che facciamo tante riunioni di prevenzione alla malnutrizione e d’informazione sull’importanza della varietà alimentare.

Ho visto un edificio che porta il nome «Gazela».

Sì, «Gazela» comprende un magazzino per conservare i cereali e i prodotti realizzati dal progetto «Bamisa». Qui ci sono pure gli alimenti forniti dal PAM (Programma Alimentare Mondiale) e dall’Unicef. Tutto questo è in conformità della Direzione Nazionale della Nutrizione. Purtroppo, negli ultimi anni veniamo riforniti solo dei prodotti alimentari mentre i prodotti medici non sono più disponibili. La terza sala di «Gazela» è predisposta per il laboratorio analisi, ma che non è ancora in funzione. Sarebbe importante se avessimo gli strumenti per effettuare le analisi del sangue o un’ecografia.

Benoît, cosè il progetto «Alín’li»?

Si tratta di un Progetto Sanitario cominciato nel 2008 con la costruzione di 13 «Case de Santé», ovvero dei piccoli ambulatori o pronti soccorso in altrettanti villaggi nel raggio di una cinquantina di km. La traduzione di «Alín’li» è: Eccomi! Questo progetto è stato realizzato grazie al sotegno dei Sindaci dei 13 comuni della Comunità Montana dei Castelli Romani. È una realtà molto importante perché ci permette di essere vicini alla gente. In ogni «Case de Santé» ci sono due o tre «agenti sanitari» che si occupano delle necessità di primo soccorso della popolazione locale. Due volte al mese noi li visitiamo e forniamo i medicinali essenziali. Nella misura del possibile organizziamo delle consultazioni delocalizzate tutti i mercoledì in una di queste «Case de Santé».

Le tue preoccupazioni?

Ce ne sono tante. Penso all’instabilità politica ed economica del Paese, che ovviamente ha ripercussioni sulla gente sia che si tratti delle scuole come della sanità o di altre realtà portanti per la vita delle popolazioni. Il sistema sanitario è inefficace, con pochi medici e ospedali come nella precarietà dei medicinali (noi ci riforniamo a Bissau, ma spesso in Senegal a Ziguincor come nella lontana Dakar). Una delle grandi preoccupazioni è la mancanza quasi cronica del latte per i bambini. Un’ultima preoccupazione è quella di poter avere un’auto con cui poterci spostare nei villaggi per le consultazioni.

Un’ultima parola… di missione?

Penso alla parola «ascolto», perché è importante poter capire il malato che spesso non riesce ad esprimere i suoi sintomi. Così lo è per l’ascolto di ogni persona perché l’ascolto ci permette di instaurare relazioni importanti fra di noi, di dare fiducia all’altro, di fargli vedere che sono interessato a lui/lei, alle sue cose o alle sue preoccupazioni. Vorrei concludere ringraziando i tanti amici che ci sostengono, gli Amici della Procura delle Missioni come Amici personali. Grazie di cuore e insieme continuiamo a portare ovunque la Speranza del Vangelo.

A cura di Flavio Facchin omi