Parole di missione: Periferie

La periferia è il centro dell’attività missionaria. Grazie a Papa Francesco la Chiesa ridona importanza all’umanità che vive nelle periferie del mondo. Nelle riunioni dei cardinali, poco prima del Conclave che lo avrebbe eletto, così si esprimeva: «La Chiesa è chiamata a uscire da sé stessa e andare nelle periferie esistenziali: dove alberga il mistero del peccato, il dolore, l’ingiustizia, l’ignoranza, dove c’è il disprezzo dei religiosi, del pensiero e dove vi sono tutte le miserie» (Cfr. Le parole di Papa Francesco prima di essere eletto Pontefice, in www.zenit.org). In altre parole «la Chiesa deve uscire dal suo mondo, da una visione autocentrata della sua vita e del suo impegno, per raggiungere quelle che egli chiama le periferie della società, non solo geografiche ma anche esistenziali. Queste ultime sono il mondo dei marginali e degli abbandonati: quei poveri di ogni tipo, che vivono fuori del mondo ricco» (Andrea Riccardi, Periferie – Crisi e novità per la Chiesa, Milano 2016, p. 8).

Gesù, il primo missionario, non sceglie Gerusalemme per farsi uomo, ma Betlemme, un villaggio lontano dalle cronache e dal potere del tempo. La sua vita, fino all’età di oltre trent’anni, si svolge a Nazareth, un altro piccolo villaggio ai margini della storia. Per Gesù questi luoghi o periferie sono prediletti per incontrare l’umanità. Ancora oggi «il Vangelo e l’opera di Dio continua a manifestarsi nelle periferie geografiche ed esistenziali… Il Signore agisce sempre di nascosto, nelle periferie, nelle periferie dell’anima, nei sentimenti di cui ci vergogniamo, ma che il Signore vede. Il Signore continua a manifestarsi nelle periferie, sia geografiche che esistenziali» (Papa Francesco, Udienza del 17 novembre 2021). La missione di Gesù non comincia dai centri religiosi e culturali della sua terra e del suo tempo, ma dalle zone poco conosciute e poco importanti, dalle periferie. Soprattutto le periferie umane, perché dove i problemi sono più numerosi e complessi, è proprio lì che Dio si fa presente per mettere al centro la persona. Ciò che importa è mettere il Signore e la persona al centro della vita e del proprio agire. Questo è lo stile missionario di Gesù e quello della Chiesa perché «nell’incarnazione, la periferia di Dio diventa il centro. La carne è elevata all’eternità… in questo modo, Cristo santifica ogni aspetto dell’umanità, quegli aspetti che segnano di fatto gli incontri, le relazioni…» (Carmine Matarazzo in “La presenza profetica dei poveri”, 43° Convegno Nazionale Caritas, 17-20 aprile 2023).

Per Gesù le periferie sono il centro del suo operare e il luogo di partenza per abbracciare il mondo e l’umanità, perché tutti hanno diritto all’amore di Dio. Con Papa Francesco possiamo dire che «le periferie sono al centro della missione della Chiesa». Dicendo periferie pensiamo a quei territori abitati che stanno più o meno accanto al centro o ai margini delle grandi città asiatiche, sudamericane, africane,  come pure italiane, su cui gravano tanti pregiudizi e dove spesso scarseggiano o mancano del tutto i servizi di cui beneficiano le zone centrali delle città. Abbiamo nomi diversi per indicare alcuni tipi di periferie geografiche: favelas, slums, barrios, banlieues, baraccopoli… È interessante sapere che «a livello mondiale gli abitanti degli slums costituiscono oggi il 31,6% della popolazione. È un popolo enorme. Un mondo che non ha voce, ma riceve costanti messaggi dal centro attraverso standard di vita peraltro impraticabili. I periferici sono un popolo di “esclusi”, che vengono continuamente sollecitati e messi a contatto con modelli di vita non raggiungibili» (Andrea Riccardi, Periferie – Crisi e novità per la Chiesa, Milano 2016, p. 114).

Oltre alle periferie geografiche ci sono le periferie sociali, le periferie esistenziali, le periferie spirituali: in tutte possiamo portare la presenza di Dio, ma anche incontrare il Cristo nei volti di ogni uomo e di ogni donna. Ci sono periferie dove l’umanità è ferita, dove vive con difficoltà e spesso nella povertà, ma anche dove non c’è spazio per Dio, dove l’uomo non conosce Dio, dove ci sono difficoltà per vivere e celebrare la propria fede. Betlemme e Nazareth ci dicono che Dio è voluto nascere e vivere dove vive l’umanità delle periferie, proprio dove la si può trovare e incontrare, dove si può portare il Cristo e dove si possono trovare volti del Cristo«Si va verso i poveri, si va nelle periferie, non tanto per portare qualcosa, ma per cercare e scoprire il volto di Dio, toccando la sua carne. Si esce e si va nelle periferie per incontrare Gesù, scoprirlo nel volto di chi è nel bisogno» (Papa Francesco, 23 marzo 2017). 

Che grande prospettiva missionaria! Si va nelle periferie geografiche ed esistenziali per incontrare la presenza del Cristo e per toccare la sua carne, per evangelizzare ma anche per lasciarsi evangelizzare, per soffrire con chi soffre e gioire con chi gioisce. Si va nelle periferie per prendersi cura dei senza tetto, dei migranti, dei rifugiati, dei poveri, degli emarginati, di coloro che non hanno voce, di chi non ce la fa più a vivere con dignità percependo un salario da miseria, dei disoccupati, di coloro che vivono disgregazioni familiari, di quanti hanno in casa persone care con malattie mentali o fisiche. «Bisogna frequentare le periferie e viverle: quelle urbane, delle campagne, quelle sociali e quelle esistenziali. Il punto di vista degli ultimi è la migliore scuola, ci fa capire quali sono i bisogni più veri e mette a nudo le soluzioni solo apparenti. Mentre ci dà il polso dell’ingiustizia, ci indica anche la strada per eliminarla: ti fa comprendere come sia necessario costruire comunità dove ciascuno si senta riconosciuto nella propria dignità come persona e cittadino, titolare di doveri e diritti, nella logica che lega l’interesse del singolo e il bene comune. Perché ciò che contribuisce al bene di tutti concorre anche al bene del singolo» (Strumenti di animazione e preghiera per l’Ottobre missionario 2023 di padre Daniele Moschetti).

Le diverse forme di periferia sono luoghi privilegiati di missione. In questi luoghi di missione c’è bisogno di una «Chiesa del grembiule», di una Chiesa che si fa vicina, di una Chiesa del servizio. C’è bisogno di uno sguardo missionario per entrare in relazione con l’uomo nelle sue fragilità e nelle sue ferite e anche con le bellezze che dimorano in lui, portando Dio con il suo amore e la sua misericordia. Nel cuore di Dio c’è posto per tutti: per i benestanti e per i poveri, per i maltrattati, gli affaticati, gli abbandonati, gli ultimi. «… è Gesù stesso che si identifica nei periferici. Questa immedesimazione emerge chiaramente dalla parabola del giudizio finale al capitolo 25 del Vangelo di Matteo: “io ho avuto fame”, “ho avuto sete”, “ero forestiero”, “nudo”, “malato”, “carcerato”. Gesù è l’affamato, l’assetato, il forestiero, il nudo, il malato, il carcerato. “Ma quando mai ti abbiamo visto in questa condizione di periferico?” gli chiedono gli ascoltatori. Gesù risponde: “ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatta a me”. I poveri sono i periferici della vita. E Gesù si identifica in loro, come mai in nessun altro uomo o donna» (Andrea Riccardi, Periferie – Crisi e novità per la Chiesa, Milano 2016, p. 41).

Essere missione nelle periferie significa che la Chiesa si fa vicina ed è presente nelle vene della storia, che la Chiesa agisce partendo dagli ultimi e, quindi, ciò che affascina è il Vangelo vissuto da parte dei discepoli missionari, che sanno stare accanto agli ultimi. Il senso della “Chiesa in uscita” sta nell’affermare che i poveri sono i destinatari del Vangelo e noi non possiamo lasciarli soli o abbandonarli.

Dicevamo che «periferia» indica ciò che sta ai margini, ciò che non è considerato importante: le persone povere e senza voce, coloro che non contano agli occhi del mondo, quanti sono soli e abbandonati, quelli che si sentono dimenticati anche da Dio, coloro che non hanno più speranza, chi vive nel buio della vita. In fin dei conti ognuno di noi abita delle periferie esistenziali: quando siamo delusi e stanchi della vita, quando ci rendiamo conto che non riusciamo a cambiare noi stessi perché «siamo fatti così», perché vorremmo cambiare tante cose di questo mondo ma i nostri sogni si infrangono contro l’impossibilità di realizzare tali cambiamenti. Per questo il nostro centro sarà solo Dio. «L’andare fino alle periferie dell’esistenza esige l’impegno che richiami l’essenziale e che sia ben centrato sull’essenziale, cioè Gesù Cristo. Non serve disperdersi in tante cose secondarie e superflue, ma concentrarsi sulla realtà fondamentale, che è l’incontro con Cristo, con la sua misericordia, con il suo amore e l’amare i fratelli come Lui ci ha amato e questo ci spinge a percorrere vie nuove» (Papa Francesco, 14 ottobre 2013).

Nel Vangelo leggiamo che «il Verbo si è fatto carne» in un luogo periferico come Betlemme, mentre l’evento della Pentecoste ci dice che la Chiesa non resta a Gerusalemme e si fa missione per andare «fino ai confini del mondo», in qualunque periferia della terra e dell’umanità. Mettere le diverse forme di periferia al primo posto dell’agire missionario vuol dire mettere la missione al primo posto. Significa andare oltre la cultura dello scarto per affermare che ogni persona ha valore ed è importante per Dio, che la Chiesa cammina accanto all’umanità. La periferia è luogo prediletto di incontro di Cristo con l’umanità: «La gioia di comunicare Gesù Cristo si esprime tanto nella preoccupazione di annunciarlo in altri luoghi più bisognosi, quanto in una costante uscita verso le periferie del proprio territorio o verso i nuovi ambiti socio culturali. La Chiesa si impegna a stare sempre lì dove maggiormente mancano la luce e la vita del Risorto» (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 30). E ancora: «Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo… fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare”» (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 49).

Come discepoli missionari facciamo nostro l’impegno di abitare le periferie per abbattere muri, costruire ponti d’umanità, accompagnare la vita, sostenere la speranza, seminare riconciliazione, lasciare tracce di Dio.

«L’uomo di oggi muore di sete. Non c’è che un problema, un solo problema al mondo: restituire agli uomini un significato spirituale, delle inquietudini interiori. Non si può vivere solo di frigoriferi, di politica, di bilanci e di parole crociate, è chiaro. Non si può vivere senza poesia, senza colore, e soprattutto senza amore» (Antoine de Saint-Exupéry, Lettera ad un generale).

Flavio Facchin omi