Le nostre vite sono fatte e si modellano attraverso molteplici incontri con gli altri. C’è anzitutto l’incontro con Dio nella preghiera, nell’ascolto della Parola, nella condivisione del Pane di Vita che è l’Eucarestia; poi ci sono gli incontri con gli altri, uomini e donne, giovani e bambini. Ci sono incontri che cambiano la vita, incontri abitudinari e incontri casuali, incontri che ci fanno riflettere e altri che non lasciano alcuna traccia. Forse sono più frequenti i momenti di «non incontro» che i momenti di vero incontro con l’altro. Anche in famiglia, se ognuno rimane nel proprio mondo, occupato con le sue cose, non c’è incontro.
L’incontro è un luogo di missione. Non basta vedere gli altri o sentirli vicini: bisogna fermarsi, stare con loro, incontrarli, guardarli, parlare. Le pagine bibliche sono un continuo incontro di Dio con il suo popolo. A Betlemme Gesù si è fatto incontro con l’umanità. La vita del Signore è stata un continuo susseguirsi di incontri. Le occasioni di incontro sono il terreno missionario per portare Dio all’umanità. «Gesù incontra l’uomo. Si lascia interpellare dalle inquietudini dell’uomo del suo tempo… si ferma con l’uomo, dedicandogli tempo. Gesù è disponibile all’incontro, non è indifferente, si lascia toccare nel profondo…» (Papa Francesco).
Quante persone portano in sé il desiderio di incontrare qualcuno, magari solo per scambiare qualche parola, e spesso non ne hanno la possibilità o non hanno il coraggio di farlo. Dovremmo diventare esperti nell’arte dell’incontro. Come? Favorendo l’incontro tra noi per vederci, ascoltarci, parlarci, raccontarci, conoscerci. Coltivando il desiderio di incrociare il volto dell’altro, di conoscere il suo nome, i suoi pensieri, le sue domande; avendo il nostro sguardo orientato verso l’altro, con le sue bellezze e fatiche. In ogni incontro possiamo offrire qualcosa all’altro, come l’altro ha qualcosa da donare a noi… «Per me le persone sono persone, non sono i loro ruoli. Ogni incontro è un avvenimento che cambia la mia vita. Non mi lascia uguale a prima: perché quella persona, chiunque sia, se è incontrata davvero, non superficialmente, ma nell’ascolto e nell’accoglienza reciproca, mi regala qualcosa di sé, condivide con me la sua porzione di mondo, mi fa intravvedere un punto di vista che non conoscevo e che cambia anche il mio. Chiunque sia: ognuno è qualcuno. In Arsenale abbiamo incontrato in persone povere dei maestri che non sapevano di essere maestri, sono poveri che ci cambiano lo sguardo e ci formano, perché la formazione di una persona, anche se avanti negli anni, non finisce mai. Non c’è mai la parola “fine” alla crescita interiore di una persona. Sono i poveri che insegnano. In questo senso hanno contribuito a formarci una mentalità che parte sempre dal più debole e una cultura che parla sempre di vita» (Ernesto Olivero).
Possiamo indicare alcune tracce per far crescere in noi la cultura dell’incontro.
Ascoltare l’altro. Per ascoltare l’altro bisogna offrire disponibilità, dare del tempo, lasciare che l’altro si esprima. Non è facile ascoltare, nella famiglia come a scuola, nel lavoro e anche nella Chiesa. Ascoltare vuol dire farsi vicini a una persona, con i suoi problemi, le sue esigenze, le sue stanchezze, le sue conquiste e le sue gioie. È un impegno saper ascoltare con tutto sé stessi per entrare nella vita dell’altro e farla propria, per far sentire di essergli vicino e anche per portarlo in qualche modo a Dio. «Il primo servizio che si deve agli altri consiste nel prestare loro ascolto» (Dietrich Bonhoeffer).
Una Chiesa che vuole incontrare l’uomo è una Chiesa che vuole stare con la gente, consapevole che le possibilità d’incontro possono aiutare l’uomo ad avvicinarsi a Dio. L’ascolto è fatto di attenzione, accoglienza, partecipazione, compassione, anche del prendersi cura dell’altro. «Chiediamoci se siamo figli dell’ascolto, se troviamo tempo per la Parola di Dio, se diamo spazio e attenzione ai fratelli e alle sorelle. Se sappiamo ascoltare fino a che l’altro si possa esprimere fino alla fine, senza tagliare il suo discorso. Chi ascolta gli altri, sa ascoltare anche il Signore e viceversa. E sperimentiamo una cosa molto bella, cioè che il Signore stesso ci ascolta: ci ascolta quando lo preghiamo, quando ci confidiamo con Lui, quando lo invochiamo» (Papa Francesco). L’ascolto è una vera azione missionaria: attraverso l’ascolto noi manifestiamo che Gesù vuole farsi presente a tutti.
Tessere relazioni. Farsi prossimo e instaurare relazioni sincere fa parte delle sfide missionarie del nostro tempo. Tessere relazioni significa vivere ogni incontro come un’opportunità di fraternità, avendo cura dell’altro, con il bene che l’altro mi può donare e quello che anch’io posso offrirgli. Le relazioni, per essere autentiche, devono essere fatte di attenzioni, di stima, di comprensione. Hanno bisogno della parola e dell’ascolto, della conoscenza delle reciproche affinità e diversità, necessitano di rapporti personali e del confronto delle opinioni, nel rispetto vicendevole. La vita è fatta di interdipendenze reciproche: non possiamo vivere da soli, viviamo di relazioni. Siamo gli uni nelle mani degli altri, dobbiamo affidarci gli uni agli altri. Un detto di alcuni Paesi dell’Africa Centrale dice: «Una persona è una persona attraverso le altre persone». Ciò significa che gli incontri e le relazioni ci aiutano a formare noi stessi e gli altri, a sentirci responsabili della vita di tutti e che ci si prende cura gli uni gli altri senza escludere nessuno. Nel pensiero di queste regioni dell’Africa, basato su una visione di apertura, condivisione e incontro interpersonale, l’esistenza umana può essere compresa solo in quanto parte del tutto, in relazione con gli altri, in base a una comunità e a una comune umanità.
Conoscere per amare. Per noi il conoscere coinvolge il nostro pensiero e la nostra mente, i nostri sensi e le nostre esperienze. Non finiremo mai di conoscere una persona o la gente con cui viviamo. In senso biblico «conoscere» vuol dire amare. Non finiremo mai di imparare ad amare i volti concreti che incrociamo lungo i sentieri della nostra vita. Per voler bene a una persona dobbiamo conoscerla: così com’è, nella sua vita, con le sue gioie e le sue difficoltà e – perché no? – anche con i suoi sogni. Ci basterebbe conoscere un po’ di più la gente per poter migliorare le nostre relazioni con le persone. La gente si rende conto che le siamo vicini quando ci interessiamo a lei, quando la incontriamo nelle realtà di ogni giorno, quando l’amiamo un po’ di più.
La nostra missione e il nostro impegno saranno quelli di essere costruttori di incontri, favorendo una cultura dell’accoglienza, una cultura di prossimità, una cultura della cura reciproca, una cultura dell’incontro per l’appunto. Per far questo cercheremo di dialogare incessantemente.
«Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo “dialogare”. Per incontrarci e aiutarci a vicenda abbiamo bisogno di dialogare. Non c’è bisogno di dire a che serve il dialogo. Mi basta pensare che cosa sarebbe il mondo senza il dialogo paziente di tante persone generose che hanno tenuto unite famiglie e comunità. Il dialogo perseverante e coraggioso non fa notizia come gli scontri e i conflitti, eppure aiuta discretamente il mondo a vivere meglio, molto più di quanto possiamo rendercene conto» (Papa Francesco, Lett. Enc. Fratelli tutti, 198).
Flavio Facchin omi