Una delle parole-chiave dei social è il termine condivisione. Basta un click per mettere in rete informazioni, foto, immagini, video, canzoni, link. I social facilitano il bisogno di raccontare e di raccontarsi, di comunicare ciò che pensiamo, facciamo, viviamo. La parola condividere (con-dividere, cioè dividere con qualcuno, far partecipe, mettere insieme) indica coinvolgimento e partecipazione. Designa l’offrire qualcosa, il donare a qualcuno dei beni materiali o spirituali, il mettere a disposizione delle risorse o dei progetti, il trasmettere le proprie idee e i propri pensieri.
Quante volte in Camerun e in Senegal, ma anche in Italia, ho fatto l’esperienza della generosità semplice e spontanea di tanta gente! In Africa, quando andavo nei villaggi per le visite pastorali e per le celebrazioni della Messa e dei Sacramenti, la gente mi riceveva con gioia offrendomi il poco che aveva in segno di accoglienza e di fraternità.
Nel Vangelo si parla spesso di condivisione. C’è la vedova che nel tempio dona tutto quello che ha, mentre i ricchi danno solo del loro superfluo. La donna samaritana corre dal pozzo al villaggio per annunciare d’aver incontrato Colui che è e offre l’acqua viva. I discepoli di Emmaus tornano a Gerusalemme per comunicare di aver riconosciuto il Signore Risorto «allo spezzare del pane». Il mattino di Pasqua le donne trovano il sepolcro vuoto e in fretta vanno a riferire agli Apostoli che il Signore non è più là, ma è risorto. Quando si vive qualcosa d’importante e di bello si sente la necessità di comunicarlo per far partecipi altri di quanto vissuto. Condividere, per l’appunto.
Per noi, discepoli missionari, condividere il Signore che vive in noi ha un’importante valenza missionaria. Gesù invia i discepoli a due a due nei villaggi della Galilea per annunciare che «il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino». Li manda perché portino la Buona Notizia, perché la facciano conoscere e ne diventino partecipi uomini e donne del suo tempo. Il Tesoro non può rimanere nascosto: deve essere annunciato, comunicato, condiviso. L’essere inviati a due a due indica uno stile di missione fondato su quell’«amatevi gli uni gli altri» che testimonia la presenza del Signore in noi e fra di noi. Potremmo dire che lo stile della missione è la condivisione, con la quale viene proposto l’annuncio del Vangelo e offerta la nostra testimonianza di vita.
Gesù con l’Eucarestia ha istituito il sacramento della condivisione. Nella pagina evangelica della moltiplicazione dei pani, che prefigura l’Eucarestia, si dice che per sfamare la folla c’erano soltanto cinque pani e due pesci, eppure «tutti mangiarono a sazietà». Il Vangelo parla di condivisione e di partecipazione: il poco, se condiviso, è per tutti. L’Eucarestia è la Presenza di Gesù da adorare e da condividere. L’Eucarestia è banchetto, e i banchetti sono momenti di convivialità in famiglia e fra amici. L’Eucarestia invita a creare fraternità e comunità, un invito da vivere condividendo ciò che siamo e un po’ di quello che abbiamo, per poco che sia, nel segno della comunione fraterna.
«Nell’Eucarestia il Signore ci fa percorrere la sua strada, quella del servizio, della condivisione, del dono, e quel poco che abbiamo, quel poco che siamo, se condiviso, diventa ricchezza» (Papa Francesco, Omelia Corpus Domini 30 maggio 2013). «Condividere è il vero modo di amare» (Papa Francesco, Angelus domenica 12 gennaio 2014).
Nelle prime pagine degli Atti degli Apostoli ci vengono proposti quattro sentieri di condivisione, che sono i pilastri nella vita della Chiesa: «[I primi cristiani] erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2, 42).
Assidui nell’insegnamento. Ciò che gli apostoli offrivano era quanto avevano vissuto con Gesù e la Parola da Lui ricevuta. Parola che chiedeva di essere annunciata, testimoniata, trasmessa, condivisa. «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4, 20). Gli apostoli donavano quanto di più prezioso possedevano: la Parola, il Signore.
Assidui nell’unione fraterna. Nella fraternità c’è attenzione all’altro, che si esprime offrendo o condividendo idee, valori e beni per far partecipe l’altro di qualcosa d’importante e soprattutto perché si desidera il suo bene. La condivisione è un aspetto importante del nostro essere discepoli missionari perché vogliamo operare e agire per il bene dell’umanità.
Assidui nella frazione del pane. Si tratta del dono di Gesù stesso, di ciò che c’è di più prezioso: la vita. L’Eucarestia è il sacramento della condivisione perché è dono per tutti. Gesù nell’Eucarestia, dopo aver reso grazie, spezzò il pane e lo condivise. Il miracolo, possiamo dire, è qui: condividere è il miracolo di comunione con fratelli e sorelle perché il condividere crea fraternità.
Assidui nella preghiera. Perché nessuno ci è estraneo e vorremmo portare a Dio, nella preghiera, l’intera umanità, con le sue gioie e le sue sofferenze. La preghiera ci fa crescere nella comunione e ci rende vicini. Nella preghiera portiamo a Dio coloro che amiamo e, in quanto missionari, portiamo a Dio tutta l’umanità.
La condivisione ci aiuta a far nostri i sogni e le ferite di tutta l’umanità e a portarli a Dio nella preghiera. Così si esprime il documento conciliare “Gaudium et Spes”: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».
Flavio Facchin omi