Nei racconti biblici ci sono uomini e donne che sono stati chiamati ad essere messaggeri di Dio e ad annunciare la sua parola. C’è il profeta Michea che dichiara: «Qualunque cosa Dio dirà, io l’annuncerò» (2Cr 18,13). C’è Isaia che accoglie senza esitare la vocazione di profeta: «Udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò”? E io risposi: “Eccomi, manda me”»! (Is 6,8), mentre Mosè e Geremia cercano di sottrarsi: «Signore, io non so parlare, perché sono giovane» (Ger 1,6). Ci sono gli apostoli, chiamati a vivere con il Maestro per poi essere inviati: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16, 15). C’è Maria, che risponde all’annuncio dell’angelo dicendo: «Eccomi, sono la serva del Signore: avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38), per poi andare da Elisabetta a condividere la Buona Novella. Ci sono Maria Maddalena, la portatrice del primo annuncio della Resurrezione, e i discepoli di Emmaus che, dopo aver riconosciuto il Risorto all’ascolto della Parola e allo spezzare del pane, tornano a Gerusalemme per annunciare il loro incontro con il Signore Risorto.
Nei venti secoli di storia della Chiesa ci sono stati innumerevoli uomini e donne che hanno annunciato il Vangelo. Alcuni di loro li conosciamo, della maggior parte non sappiamo niente. Pensiamo a quanti padri e soprattutto a quante madri hanno trasmesso la fede ai loro figli; anche loro sono stati messaggeri dell’annuncio: «Gesù è il Signore»! Mi vengono in mente i volti di tanti catechisti con i quali ho lavorato in Camerun e in Senegal, persone fiere della loro vocazione di annunciatori della Buona Novella e della vita di Gesù. Ci siamo noi, discepoli missionari, che talvolta con entusiasmo e altre volte con fatica cerchiamo di annunciare con le parole e con la vita il Dio che vive in noi.
Perché dobbiamo continuare ad annunciare il Vangelo? San Paolo ci esorta: «Predica la Parola, insisti in ogni occasione favorevole e sfavorevole… esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza» (2 Tm 4,2). E ancora: «Guai a me se non evangelizzassi» (1 Cor 9,16). Gesù stesso afferma: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Per noi battezzati annunciare è un impegno per portare il Cristo a chiunque: a chi già conosce il Vangelo e forse lo vive con superficialità, a chi ne ha sentito parlare ma rimane indifferente, a chi non ne ha mai sentito parlare. Ogni persona ha diritto all’annuncio di quella grazia che noi abbiamo incontrato e che domanda di essere manifestata a tutti. Con la nostra vita noi annunciamo il Cristo a coloro con i quali viviamo.
Tutta la Chiesa è missionaria e l’annuncio non è compito dei soli «addetti ai lavori», ovvero degli agenti pastorali (preti, suore, catechisti), ma ogni battezzato è chiamato ad annunciare la fede che vive in lui: «…siamo chiamati a evangelizzare, a portare il Vangelo, che significa dare testimonianza… un cristiano ha l’obbligo di portare il nome di Gesù» (Papa Francesco, 9 settembre 2016). Annunciare è una necessità per noi stessi e per ciò che siamo e rappresentiamo: «Quando la vita cristiana perde di vista l’orizzonte dell’evangelizzazione, l’orizzonte dell’annuncio, si ammala: si chiude in sé stessa, diventa autoreferenziale, si atrofizza. Senza zelo apostolico, la fede appassisce. La missione è invece l’ossigeno della vita cristiana». Inoltre, «…il nostro annuncio comincia oggi, lì dove viviamo. E non comincia cercando di convincere gli altri, convincere no: ma testimoniando ogni giorno la bellezza dell’Amore che ci ha guardati e ci ha rialzati e sarà questa bellezza, comunicare questa bellezza a convincere la gente, non comunicare noi, ma lo stesso Signore. Noi siamo quelli che annunciano il Signore, non annunciamo noi stessi, né annunciamo un partito politico, una ideologia, no: annunciamo Gesù. Bisogna mettere in contatto Gesù con la gente, senza convincerli, ma lasciare che il Signore convinca. Come infatti ci ha insegnato Papa Benedetto, “La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per attrazione”» (Papa Francesco, Catechesi 11 gennaio 2023).
Qual è il modello di colui che annuncia? È Gesù stesso, perché egli stesso è la Parola: «Il fatto che egli sia il Verbo, ossia la Parola, indica un aspetto essenziale di Gesù. Egli è sempre in relazione, in uscita, mai isolato, sempre in relazione, in uscita; la parola, infatti, esiste per essere trasmessa, comunicata. Così è Gesù, Parola eterna del Padre protesa a noi, comunicata a noi. Cristo non solo ha parole di vita, ma fa della sua vita una Parola, un messaggio: vive, cioè, sempre rivolto verso il Padre e verso di noi. Sempre guardando il Padre che Lo ha inviato e guardando noi a cui Lui è stato inviato» (Papa Francesco, Catechesi 18 gennaio 2023). Gesù è in relazione innanzitutto con Dio Padre e con lo Spirito e nei momenti di preghiera trova le ragioni e la forza del suo essere missionario. Gesù è poi in relazione con l’umanità per annunciare il Regno di Dio. Gesù è in relazione con Dio nella preghiera e con la gente per trasmettere la vita di Dio.
Gesù è il modello per colui che annuncia, e lo è con alcuni tratti distintivi. Il primo è quello di portare la gioia: «Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). Siamo discepoli che condividono una bella notizia e non possiamo parlare di Gesù senza gioia, perché la nostra fede è gioia. Condividiamo il Vangelo della gioia perché il Vangelo è una Buona Notizia. Il secondo aspetto dell’annunciare di Gesù è quello di portare la liberazione: «Mi ha mandato a proclamare ai prigionieri la liberazione» (Lc 4,18). Siamo tutti prigionieri di qualcosa, ognuno di noi ha delle catene che gli impediscono di camminare speditamente nella sua vita umana e spirituale. Gesù ci aiuta a essere liberi, ci aiuta a portare la pace perché lui stesso è «il principe della pace». Un terzo aspetto è quello di portare la luce: «Mi ha mandato a portare ai ciechi la vista» (Lc 4,18). Gesù è la luce che illumina il cammino della nostra esistenza, è la luce che ci indica «la via, la verità e la vita». L’annuncio della gioia, della liberazione e della luce ha come destinatari principali i poveri. Siamo tutti poveri di qualcosa o di qualcuno e dentro di noi abbiamo diverse povertà che ci portano a dire: «Signore, ho bisogno di te, ho bisogno del tuo sostegno, della tua presenza, del tuo amore». Tutti abbiamo bisogno della sua grazia, della sua gioia, della sua misericordia.
Siamo consapevoli che la missione di annunciare il Cristo non è opera nostra: noi siamo sempre e solo degli strumenti nelle mani di Dio. Dice Santa Madre Teresa: «Sono come una piccola matita nelle Sue mani, nient’altro. È Lui che pensa. È Lui che scrive. La matita non ha nulla a che fare con tutto questo. La matita deve solo poter essere usata». È lo Spirito di Dio il protagonista della missione, è lo Spirito che ci illumina, ci guida, ci dona forza, ci indica le parole e le modalità del nostro annunciare e testimoniare il Signore. Noi dobbiamo fare la nostra parte e possiamo farla con lo stile del «farsi tutto a tutti» di San Paolo, cioè condividendo la nostra fede, facendoci prossimi alle gioie e alle preoccupazioni degli altri, facendoci compagni di viaggio.
Cosa annunciare? Ce lo dicono le pagine stesse del Vangelo: «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). «Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore… Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici» (Gv 15, 9. 11-14). «Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Gv 4,16). Ecco, è Gesù stesso a dirci cosa annunciare, vivere, testimoniare.
Come annunciare? Con la vita, con la parola, in semplicità, per essere come il lievito che penetra e feconda la storia per trasformarla e renderla bella e degna di essere vissuta.
Flavio Facchin omi