Il primo luogo di missione non posso che essere io stesso. Infatti, «Dio ha tanto amato il mondo da inviare il suo Figlio» (Gv 3,16). Lo ha fatto per me! Lo ha fatto per ciascuno di noi. Dio ci ama e ci vuole con Lui, per sempre. Possiamo dirci missionari solo se prima ci lasciamo amare da Dio, se ci lasciamo incontrare da Lui, se sappiamo ascoltare la sua voce per lasciarci evangelizzare dalla sua Parola. «Entrare nella Parola di Dio è essere disposti a uscire dai propri limiti per incontrare Dio e conformarsi a Cristo che è la Parola vivente del Padre» (Papa Francesco, 2 ottobre 2019).
Solo nella misura in cui ci lasciamo trasformare dal Signore possiamo seguirlo e diventare suoi discepoli. La prima terra di missione sono io, come lo è ciascuno di noi: una terra sacra perché creata a immagine di Dio, una terra che si fa relazione con l’umanità, una terra che non posso trascurare e di cui devo aver cura, una terra povera delle mie fragilità e allo stesso tempo ricca di doni e talenti. Io sono una terra per il Seminatore, una terra buona che si deve lasciare coltivare secondo i suoi disegni. Battezzato, sono chiamato a immergermi in Qualcuno nel quale vivo e agisco per «lasciarLo vivere in me». Posso affermare che nei miei anni d’Africa la gente mi ha arricchito, uomini e donne mi hanno evangelizzato. Nella terra di missione che sono io, in questa terra vi può operare Dio e tante persone. E spesso sono gli altri e i poveri che ci aiutano ad evangelizzarci, perché ci fanno capire in maniera nuova il Vangelo che annunciamo. Uomini e donne, di Chiesa o anche lontani, possono offrirci molto. Talvolta hanno un’esperienza umana, una ricchezza culturale e religiosa, una sete di giustizia, una generosità che noi non abbiamo allo stesso livello. Altre volte ci aiutano a conoscere Dio e ad ammirare la sua azione in modi per noi sconosciuti.
Prima di essere inviato sono convocato a stare con Lui, a impregnarmi di Lui. Prima di essere missione ho coscienza di essere io stesso terra di missione.
Flavio Facchin omi