Papa Francesco, nella sua enciclica Fratelli Tutti, scrive che «il bene, come anche l’amore, la giustizia e la solidarietà non si raggiungono una volta per sempre, vanno conquistati ogni giorno» (FT 11). Non possiamo accontentarci di quanto abbiamo finora conquistato, dobbiamo alimentare in noi una «sana insoddisfazione» per fare sempre di più e meglio. Soprattutto nei confronti dell’umanità con cui siamo chiamati a camminare e a vivere, quell’umanità che osiamo sognare come figli della casa comune che ospita tutti noi, dove tutti possiamo essere fratelli e sorelle.
In questi mesi abbiamo affermato, partendo da quanto papa Francesco ha proposto nel documento «Fratelli Tutti» parlando del Buon Samaritano come modello di fraternità, che la Missione è fatta da «Sguardi di benevolenza», «Tempo da donare», «Relazioni da tessere».
In quest’ultimo contributo sulla lettera enciclica «Fratelli Tutti», l’invito è all’impegno di costruire una fraternità e un’amicizia sociale, a far nostro un altro appello presente nel documento: operare per una cultura dell’incontro. Questo è un termine caro a papa Francesco, ne ha parlato spesso durante il suo pontificato. È un impegno che dobbiamo alimentare ogni giorno, è un invito rivolto a ogni donna e a ogni uomo. La fraternità si costruisce attraverso l’incontro con l’altro, fratello e sorella: va cercato, curato, protetto, coltivato. Il termine incontro ricorre per ben 57 volte nel documento, spesso inteso come «cultura dell’incontro». Riportiamo alcuni paragrafi molto belli e impegnativi, che per noi si trasformano in cantieri di lavoro, ovvero in missione.
La cultura dell’incontro è via per costruire la fraternità. «L’isolamento e la chiusura in se stessi o nei propri interessi non sono mai la via per ridare speranza e operare un rinnovamento, ma è la vicinanza, è la cultura dell’incontro. L’isolamento, no; vicinanza, sì. Cultura dello scontro, no; cultura dell’incontro, sì» (FT 30).
La vita è tempo di incontro con l’altro. «La vita non è tempo che passa, ma tempo di incontro» (FT 66). «Un essere umano è fatto in modo tale che non si realizza, non si sviluppa e non può trovare la propria pienezza «se non attraverso un dono sincero di sé». E ugualmente non giunge a riconoscere a fondo la propria verità se non nell’incontro con gli altri: «Non comunico effettivamente con me stesso se non nella misura in cui comunico con l’altro» (FT 87).
Nell’incontro, l’altro è dono per me. «L’arrivo di persone diverse, che provengono da un contesto vitale e culturale differente, si trasforma in un dono, perché «quelle dei migranti sono anche storie di incontro tra persone e tra culture: per le comunità e le società in cui arrivano sono una opportunità di arricchimento e di sviluppo umano integrale di tutti. Perciò chiedo in particolare ai giovani di non cadere nelle reti di coloro che vogliono metterli contro altri giovani che arrivano nei loro Paesi, descrivendoli come soggetti pericolosi e come se non avessero la stessa inalienabile dignità di ogni essere umano» (FT 133).
Nell’incontro, io sono dono per l’altro. «Come non c’è dialogo con l’altro senza identità personale, così non c’è apertura tra popoli se non a partire dall’amore alla terra, al popolo, ai propri tratti culturali. Non mi incontro con l’altro se non possiedo un substrato nel quale sto saldo e radicato, perché su quella base posso accogliere il dono dell’altro e offrirgli qualcosa di autentico. È possibile accogliere chi è diverso e riconoscere il suo apporto originale solo se sono saldamente attaccato al mio popolo e alla sua cultura» (143).
Creare una nuova cultura dell’incontro, è la nostra missione. «La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita. Tante volte ho invitato a far crescere una cultura dell’incontro, che vada oltre le dialettiche che mettono l’uno contro l’altro. È uno stile di vita che tende a formare quel poliedro che ha molte facce, moltissimi lati, ma tutti compongono un’unità ricca di sfumature… Il poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda, benché ciò comporti discussioni e diffidenze. Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è superfluo. Ciò implica includere le periferie» (FT 215).
Nessuno escluso… tutti candidati alla fraternità. «Chiedo a Dio di preparare i nostri cuori all’incontro con i fratelli al di là delle differenze di idee, lingua, cultura, religione; di ungere tutto il nostro essere con l’olio della sua misericordia che guarisce le ferite degli errori, delle incomprensioni, delle controversie; la grazia di inviarci con umiltà e mitezza nei sentieri impegnativi ma fecondi della ricerca della pace» (254).
Il nostro impegno e la nostra missione sarà quella di essere costruttori di incontro, favorendo una cultura dell’accoglienza, una cultura di prossimità, una cultura della cura reciproca, una cultura dell’incontro, per l’appunto. Per far questo oseremo dialogare incessantemente: «Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo “dialogare”. Per incontrarci e aiutarci a vicenda abbiamo bisogno di dialogare. Non c’è bisogno di dire a che serve il dialogo. Mi basta pensare che cosa sarebbe il mondo senza il dialogo paziente di tante persone generose che hanno tenuto unite famiglie e comunità. Il dialogo perseverante e coraggioso non fa notizia come gli scontri e i conflitti, eppure aiuta discretamente il mondo a vivere meglio, molto più di quanto possiamo rendercene conto» (FT 198).
Nella lingua greca, le parole «fratello» e «sorella», significano etimologicamente «dallo stesso grembo» (a-delphos / a-delphë): fratelli e sorelle sono uniti dal fatto di provenire dallo stesso grembo materno. È bellissimo. Perché non pensare che tutti noi, tutta l’umanità fatta di donne e di uomini, proveniamo dal grembo materno di Dio? Questo ci rende tutti figli, tutti fratelli e sorelle, uniti nell’onore, nella dignità, nei diritti, pur mantenendo le differenze culturali. Pensiamo a coloro la cui umanità e dignità sono ridotte a schiavitù, a merce umana. Pensiamo a coloro che sono considerati scarto della società. Pensiamo a chi è lasciato ai margini della vita. Cerchiamoli, sono nostri fratelli e sorelle. «Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli» (FT 8).
Signore e Padre dell’umanità,
che hai creato tutti gli esseri umani con la stessa dignità,
infondi nei nostri cuori uno spirito fraterno.
Ispiraci il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace.
Stimolaci a creare società più sane e un mondo più degno,
senza fame, senza povertà, senza violenza, senza guerre.
Il nostro cuore si apra
a tutti i popoli e le nazioni della terra,
per riconoscere il bene e la bellezza
che hai seminato in ciascuno di essi,
per stringere legami di unità, di progetti comuni,
di speranze condivise. Amen.
(papa Francesco)
Foto: al pozzo di Keur Guillaye, Senegal
Flavio Facchin omi