Luigi Palmieri, cinquantenne di origini napoletane, architetto, vive a Cisterna di Latina con sua moglie Antonella e due figli, una ragazza e un ragazzo. Fa parte dell’Associazione Missionaria Maria Immacolata (AMMI) della comunità di Roma e recentemente ha visitato alcune delle nostre missioni oblate in Senegal.
Gigi, recentemente hai fatto un viaggio alla scoperta del Senegal e delle missioni oblate. Cosa ti ha spinto ad andare in Senegal?
Dal 2018 faccio parte del Consiglio della Procura delle Missioni Estere. Fu padre Adriano a segnalare a padre Flavio il mio nome per subentrare a Franco Fabbri della Comunità Ammi di Firenze. Quando Flavio mi chiamò lo conoscevo appena e sapevo ben poco di cosa si facesse nel Consiglio della Procura. Ho accettato dando la mia disponibilità in questa nuova esperienza che Dio mi chiamava a fare. In questi incontri, a cui partecipano anche alcuni spagnoli, mi sono sempre sentito un pesce fuor d’acqua; in particolare quando si parlava di missioni estere e bilanci per sostenere le entrate e le uscite per la realizzazione di scuole, pozzi, recinzioni, chiese, orti delle donne ecc. Per me, che sono stato sempre in Italia con gli Oblati ad operare tra i giovani e per i giovani, era una terra sconosciuta di cui avevo solo sentito parlare. Durante gli incontri, mentre si leggevano le relazioni delle opere e dei luoghi dove si andava ad operare, mi sembrava tutto così lontano e difficile da capire; soprattutto del Senegal dove l’attività missionaria è così forte. Un secondo aspetto, che mi ha dato maggior spinta, è stato il rapporto personale che Flavio ha costruito con me negli anni, entrando e conoscendo la mia vita privata, ovvero mia moglie e i figli, venendoci a trovare a casa e dialogando davanti ad una bella bottiglia di vino. Sapevo che a gennaio del 2024 Flavio stava preparando il suo viaggio in Senegal, così ho colto l’opportunità di approfondire la realtà missionaria in quel luogo e dare un senso al mio essere parte del Consiglio della Procura e dare di conseguenza un contributo maggiore.
Insieme abbiamo visitato alcune delle nostre missioni, cosa ti ha sorpreso della gente di questo Paese?
La gente qui è sempre sorridente, questo si sapeva, ti saluta di continuo e ti tende sempre la mano per salutarti e conoscerti. Malgrado la mia difficoltà di non sapere il francese, in qualche modo hanno cercato di avere un contatto con me avvicinandosi anche con semplici gesti. Spesso, quando ho partecipato alla messa in mezzo a tante persone di colore, la gente non mi ha mai messo a disagio e non mi sono mai sentito osservato. In particolare, mi ha colpito lo sguardo dei bambini dei villaggi, che ti cercano con gli occhi e vogliono avere un contatto affettivo. C’è in loro una semplicità e una purezza di cuore che dalle nostre parti sembrano perse, anzi sono io stesso sospettoso, in quanto abituato a vedere i più giovani maliziosi e furbetti. Con questo mi diventa naturale toccargli le mani, pizzicargli le guance e accarezzare i loro capelli crespi.
Puoi dirci una parola anche dei nostri missionari oblati?
Ho stabilito rapporti più profondi con chi riusciva a parlare in italiano con me; in particolare con padre Dominique, il quale è stato un autentico compagno di viaggio, sia perché ci ha accompagnato per tutti gli spostamenti in Senegal sia per la sua simpatia che ha generato un completo mettermi a mio agio. Dalle continue battute sull’utilità degli asini ai bordi delle strade, al donarmi la sua esperienza personale da ragazzo, al suo desiderio di voler cambiare le cose e far del bene alla sua gente. Un grande Missionario! Poi che dire di padre Flavio, chiamato “mon père” dalla gente, colui che mi ha ha portato qui, un uomo continuamente da scoprire, una persona libera che ti mette a suo agio. È stato per tutto il tempo con me attento ai miei bisogni e alle mie relazioni con gli altri. Un’autentica guida! L’ho visto operare come missionario ed entrare ed uscire in tante case e capisco, e si vede, che la gente gli vuole bene. Una persona carismatica che dedica il suo tempo continuamente agli altri. Anche un amante della tavola e del buon bere. Mi sono molto affezionato a questo padre oblato.
Gigi, hai incontrato tanta gente, molti oblati. Hai visto anche diversi progetti di sviluppo in fase di realizzazione. Cosa ne pensi?
Ci sono persone come padre Dominique, padre Vincent e padre Joseph che danno una garanzia a tutto l’operare dei progetti qui in Senegal. Ci sono benefattori che, malgrado tutto, vogliono collaborare per cose concrete, ma bisogna sempre avere la consapevolezza della continuità delle cose già fatte. Dice bene padre Dominique che se ad un certo punto si è realizzata una scuola non basta soltanto averla costruita, ma bisogna garantirne la sua manutenzione, assicurare un buon insegnamento agli alunni, pagare gli stipendi agli insegnanti, ecc. altrimenti tutte queste belle cose andranno perdute. Quindi, solo chi è sul posto, gli Oblati o le persone che collaborano con loro, devono entrare in questa mentalità, e non serve fare tanti altri progetti senza questa certezza. Tutti i progetti visitati sono stati esaltanti, ci sono tutte le condizioni per far bene le cose, la tecnica va seguita fino ad un certo punto, altrimenti si rischia di stagnare e perdere di vista l’obiettivo e mi riferisco alla costruzione in corso della scuola di Mbour. Mi ha fatto piacere vedere la mensa di Ndoffane, nella missione di Ngueniene, in memoria della mamma di Mariasara e constatare le sue buone condizioni, vedere che è utilizzata e funzionante. Mi sono reso conto di come sia importante la realizzazione di un pozzo, soprattutto nei villaggi. Mi ha fatto piacere vedere la tecnica di estrazione dell’acqua dal pozzo con l’ausilio della pompa solare mediante pannelli fotovoltaici, è una realtà concreta ed efficace.
Ci dici un paio di cose belle che ti porti a casa di questo viaggio?
Sicuramente le mani, il sorriso, gli occhi neri e profondi delle persone; in particolare dei bambini che mi avvolgevano e mi circondavano nelle aule delle scuole che abbiamo visitato. Mi porto a casa, soprattutto l’importanza dell’acqua “l’oro blu”. Qui la gente si sorprende per aprire un rubinetto o nell’avere un pozzo. Se ci pensi con l’acqua fai tutto: bevi, ti lavi, lavi i panni, annaffi l’orto. È così importante, ma per noi così scontata che non ci facciamo più caso. Quasi in tutte le città o villaggi che abbiamo visitato in Senegal il primo pensiero e la prima preoccupazione al mattino è rifornirsi d’acqua. Si vedono in giro carrette trainate dagli asini e motocicli che trasportano taniche e barili dell’acqua. C’è gente che deve andare nei villaggi vicini per rifornirsi d’acqua. E l’acqua la puoi avere solo dai pozzi perché nei villaggi non ci sono gli acquedotti come da noi. Per scavare un pozzo e avere l’acqua si arriva addirittura alla profondità di 60 metri; e lo si scava a mano, cioè con pala e piccone e la roccia non sempre è morbida. Porto con me, infine, il tempo che la gente ti dedica per stare con te, se li vai a trovare o se li incontri per strada o se acquisti qualcosa. Se penso che nel mio palazzo c’è gente che fa le corse per prendere l’ascensore ed evitare di parlarti, ma non perché ci sono degli screzi, soltanto perché non ha tempo da dedicarti, bisogna rispettare gli orari e ci sono tante cose da fare. Spesso sento dire che siamo troppo impegnati per fare questo e quello e abbiamo poco tempo, quasi come se fosse un “vanto”.
Puoi dirci un’ultima parola per i nostri Amici delle Missioni?
Negli anni si fa spesso fatica a camminare in Dio e in comunità e non si riesce più a capire qual è la nostra collocazione per essere missionari o persone attive nella Fede. Questa opportunità, che mi è stata data, mi ha dato la possibilità di riempire di nuovo il “bicchiere” dell’anima. Certo mi sono preparato a svuotare questo “bicchiere”, facendo prima tutta una serie di vaccini, a ritagliarmi del tempo a disposizione dal lavoro e dalla famiglia e anche disponendo di un impegno economico; ma tutto questo ne è valsa la pena. Tornando a casa forse non riuscirò mai a raccontare tutto quello che ho visto e vissuto, per quante foto ho scattato e quante cose ho scritto, ma è un’esperienza che vale per un’intera vita. Quando sono partito molti mi chiedevano se andassi a fare una missione, se andassi per lavoro, se andassi per un’esperienza personale o addirittura in vacanza. Se la parola Missione significa andare, per me è stato andare per conoscere un popolo, quello africano per poi evangelizzare a casa; in che modo? Semplicemente raccontando quello che ho visto e vissuto.