I poveri sono da sempre i prediletti e gli amati del Signore e per questo è ai poveri dai molteplici volti che noi diamo la nostra preferenza perché sono una terra privilegiata di missione che chiede «a gran voce la speranza e la salvezza che solo Cristo può dare».
I poveri sono ancora al centro delle nostre attenzioni? Ne parliamo, ce ne preoccupiamo? Cosa facciamo personalmente e come Chiesa per questi volti che sono volti di Cristo? Sentiamo che incontrare i volti dei poveri e poter fare qualcosa per loro fa parte della nostra missione?
«Il grido silenzioso dei tanti poveri deve trovare il popolo di Dio in prima linea, sempre e dovunque, per dare loro voce, per difenderli e solidarizzare con essi davanti a tanta ipocrisia e tante promesse disattese, per invitarli a partecipare alla vita della comunità» (papa Francesco).
Da parte mia penso a tante persone, donne e uomini, incontrati nei miei anni in Africa, ma anche in Italia, che sono nella precarietà. Penso a coloro che in Senegal vivono dello stretto necessario e possono permettersi un solo pasto al giorno. Penso a coloro che hanno un lavoro giornaliero e neanche ben retribuito: vivono nell’incertezza del domani auspicando una giornata di lavoro per poter sfamare i figli. Penso ai contadini della «savana» che vivono nella speranza di una buona stagione delle piogge, altrimenti è fame! Un paio di mesi di pioggia per coltivare il miglio con cui nutrirsi e le arachidi da vendere per comprare del vestiario e mandare i figli a scuola. Penso ai tanti volti che ancora non conoscono Gesù Cristo, o lo conoscono a malapena, o non hanno tutte le possibilità e strutture ecclesiali che noi abbiamo.
Noi, cosa possiamo fare di fronte a problemi così grandi e con le nostre poche risorse? Possiamo fare poco, è vero. Però, almeno un paio di cose ce le possiamo proporre: uno stile di vita semplice e l’impegno a creare una sensibilità dove ogni donna e ogni uomo ci stanno a cuore.
Uno stile di vita. Il nostro primo impegno può essere quello di uno stile di vita dove riconosciamo innanzitutto che il nostro «unicum necessarium» è il Signore. Il Cristo è il nostro grande Tesoro e questo deve spingerci a conoscerlo, ad amarlo sempre di più e a lasciarlo vivere in noi. Vivere la vita di Gesù significa anche ridimensionare, se fosse necessario, quello che si possiede e avere il coraggio di condividere con fratelli e sorelle che hanno meno di noi. Condividere i nostri talenti e qualcosa dei nostri beni è un modo di amare. La fraternità richiede la condivisione. La povertà si contrasta con i grandi progetti della politica, ma anche con i gesti quotidiani rivolti a chi ha poco o quasi niente.
Creare sensibilità. Il nostro secondo impegno può essere quello di avere a cuore «coloro che non hanno potere, che non hanno speranza, che non hanno diritti» e schierarci dalla loro parte per mantenere vivo il senso di attenzione e di fraternità nei confronti delle persone più emarginate e disagiate. Come? Per prima cosa avendo occhi capaci di vedere nei poveri «la carne di Cristo». E poi parlando di loro e creando opinione per dare loro dignità. È un invito a far sentire il grido di chi non ha voce e collaborare alla trasformazione di ciò che è causa di oppressione e di povertà, contribuendo nel nostro piccolo a sviluppare una società fondata sulla dignità delle persone e sulla fraternità: siamo tutti figli e figlie di Dio. È la nostra missione, in un luogo preciso che è il nostro paese, il mio ambiente di lavoro, lì dove vivo.
Oggi più che mai vorremmo, noi cristiani, uomini e donne, vivere in comunione più stretta con il Cristo e con i poveri. E, perché amiamo Dio, non cessiamo di amare i poveri.
Flavio Facchin omi