Siamo fatti di relazioni. Nella nostra vita non siamo mai soli, siamo stati creati da un uomo e una donna, al momento del concepimento c’è un’unione fra il nascituro e la madre. E poi c’è tutta una rete di relazioni, di dialogo, di incontri: i genitori, la famiglia, la scuola, gli amici, il lavoro, la cultura. Nessuno è sufficiente a se stesso. Queste reti di rapporti sono le radici del nostro essere e animano il nostro vivere. Chi saremmo senza tutto questo? E cosa saremmo senza coloro con cui viviamo? Ancora, ci sono relazioni di ogni tipo: politico, diplomatico, economico, sociale, ecclesiale e tante altre ancora. Qui, ciò che ci interessa, sono le nostre relazioni quotidiane, quelle sulle quali dobbiamo lavorare per favorire e costruire un mondo di fraternità. Papa Francesco, nella lettera enciclica «Fratelli Tutti», ci dice che «non c’è peggior alienazione che sperimentare di non avere radici, di non appartenere a nessuno. Una terra sarà feconda, un popolo darà frutti e sarà in grado di generare futuro solo nella misura in cui dà vita a relazioni di appartenenza tra i suoi membri, nella misura in cui crea legami di integrazione tra le generazioni e le diverse comunità che lo compongono» (FT 53).
L’isolamento che abbiamo vissuto durante il lockdown e le distanze fisiche a cui siamo stati costretti hanno messo in risalto quanto importanti siano gli altri e quanto dipendiamo da loro. Ciò di cui necessitiamo per vivere, lo abbiamo grazie ad altri; ci basta avere dei problemi di salute, e dobbiamo ricorrere ad altri; anche gli altri, ovviamente, hanno bisogno di noi e delle nostre competenze. La vita è fatta di interdipendenze reciproche: non possiamo vivere da soli, viviamo di relazioni. Siamo gli uni nelle mani degli altri, dobbiamo affidarci gli uni agli altri. Nel documento «Fratelli Tutti» di papa Francesco, il termine «dialogo» ricorre 44 volte, il termine «relazione/i» lo troviamo 27 volte, «fraternità» 44 volte. Il cammino verso la fraternità, sognato da papa Francesco, passa dal saper tessere relazioni fra di noi.
«Un essere umano è fatto in modo tale che non si realizza, non si sviluppa e non può trovare la propria pienezza “se non attraverso un dono sincero di sé”. E ugualmente non giunge a riconoscere a fondo la propria verità se non nell’incontro con gli altri: “Non comunico effettivamente con me stesso se non nella misura in cui comunico con l’altro”. Questo spiega perché nessuno può sperimentare il valore della vita senza volti concreti da amare. Qui sta un segreto dell’autentica esistenza umana, perché la vita sussiste dove c’è legame, comunione, fratellanza; ed è una vita più forte della morte quando è costruita su relazioni vere e legami di fedeltà. Al contrario, non c’è vita dove si ha la pretesa di appartenere solo a sé stessi e di vivere come isole: in questi atteggiamenti prevale la morte» (FT 87).
I mezzi di comunicazione ci mettono in relazione con persone di ogni angolo della terra, tante magari neanche le conosciamo, e magari sui social ci viene «chiesta l’amicizia»! Il mondo digitale ci aiuta a essere interconnessi, ma questo non vuol dire che riusciamo a comunicare bene. Nel quotidiano, quante sono le persone con le quali posso dire: siamo amici, ci sentiamo una famiglia, fra noi ci sono legami fraterni e solidali? Il sistema sociale basato sull’economia è capace di creare bisogni e necessità, ma la vita è fatta soprattutto di «legami, comunione, fratellanza», un’autentica esistenza si fonda su «relazioni vere e legami di fedeltà».
Le relazioni, per essere autentiche, sono fatte di attenzioni, di stima, di comprensione. Hanno bisogno della parola e dell’ascolto, della conoscenza e delle diversità reciproche. Necessitano di rapporti personali e del confronto delle opinioni, nel rispetto vicendevole. Papa Francesco ci invita a «generare un mondo aperto», con il coraggio di «guardare al di là» di noi stessi, cioè «uscire da se stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere» (FT 88). Non è sufficiente vivere nel nostro mondo e nella nostra società, ma «dobbiamo vivere da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri» (FT 96) e dove la parola «prossimo» acquista il significato di gratuità relazionale per, potremmo dire, «innescare processi di fraternità»! Noi tutti siamo in cammino, siamo in un processo formativo che possiamo chiamare «educazione alla fraternità». Oggi ci è chiesto più che mai di impegnarci nella conoscenza reciproca, dialogando in modo sincero e senza paure con chi viene da altri paesi, altre culture, tradizioni e religioni. Se volessimo dire il momento in cui nasce un’amicizia con un fratello/sorella, potremmo dire che prende inizio quando comincio ad ascoltare l’altro, quando mi metto in relazione, quando sento che reciprocamente ci arricchiamo di conoscenza, di umanità, di fraternità. Le trasformazioni che vorremmo vedere nel mondo partono da noi: siamo noi il cambiamento che vorremmo vedere nel mondo! La missione siamo noi: Noi siamo Missione per rinnovare la faccia della terra e rivelare alle genti «i cieli nuovi e la nuova terra» (Ap 21,1). Il quotidiano della vita è il nostro campo di lavoro per dare risposta all’invito missionario di Dio.
«Umuntu ngumuntu ngabantu», è un detto che esiste nelle lingue bantu dell’Africa centrale e meridionale e significa: «una persona è una persona attraverso le altre persone», meglio ancora «io sono perché noi siamo». Ovvero, le relazioni ci aiutano a formare noi stessi e gli altri, a sentirci responsabili della vita di tutti e, potremmo dire, che la fraternità si prende cura e si preoccupa degli altri senza lasciare nessuno da parte. È interessante come papa Francesco, in «Fratelli Tutti», dica qualcosa di simile: «Ognuno è pienamente persona quando appartiene a un popolo, e al tempo stesso non c’è vero popolo senza il rispetto per il volto di ogni persona» (FT 182). Nel pensiero di questa parte d’Africa, basato su una visione di apertura, condivisione e incontro interpersonale, l’esistenza umana può essere compresa solo in quanto parte del tutto, in relazione con gli altri, in base a una comunità e a una comune umanità.
Come credenti e cristiani, pensiamo che il farsi prossimo e l’instaurare relazioni sincere faccia parte delle sfide missionarie del nostro tempo, e indubbiamente di sempre. Senza pretendere di voler cambiare il mondo, è sufficiente se cambiamo noi stessi e quanto ci sta intorno. Il beato Charles de Foucauld aveva capito che per diventare il fratello di tutti doveva essere il fratello di qualcuno, di uomini e donne concrete. Uomo di relazioni e di amicizie sincere e fedeli, le ha coltivate per mantenere rapporti fraterni con la sua gente nel Sahara. Nel suo testamento spirituale, parlando della fraternità universale dei suoi Piccoli Fratelli di Gesù, afferma:
«Risplenda come un faro la loro carità universale e fraterna; che nessuno in un ampio raggio intorno, che sia anche un peccatore o un infedele, ignori che essi sono gli amici universali, i fratelli universali, che consumano la loro vita pregando per tutti gli uomini senza eccezioni, e facendo lor del bene, che la loro fraternità sia un porto, un asilo in cui ogni essere umano, soprattutto se povero e infelice, è, in ogni momento, fraternamente invitato, desiderato e accolto, e che è, come indica il nome, la casa del Sacro Cuore di Gesù, dell’amore divino diffuso sulla terra, dell’ardente Carità, del Salvatore degli uomini» (Regolamento e Direttorio per i Piccoli Fratelli).
Poco prima di morire, così riassumeva il suo stile di vita fraterna: «Amore fraterno per tutti gli uomini… vedere in ogni uomo un figlio del Padre che è nei cieli: essere caritatevole, pacifico, umile, coraggioso con tutti, pre pregare per tutti, per tutti gli esseri umani, per offrire le proprie sofferenze per tutti».
Vivere la fraternità ci porta a vivere ogni relazione come un cammino di amicizia, avendo cura dell’altro, attenti al bene che l’altro ha da donarmi e quanto anch’io posso offrire a lui, con l’impegno di operare per la nostra umanità e farla diventare «cantiere di fraternità».
Foto: Missione Omi Elinkine (Senegal)
Flavio Facchin omi